Latina / Sopravvissuto ai campi di prigionia, la testimonianza di Antonio Gnasso nel Giorno della Memoria

LATINA – Antonio Gnasso, nato ad Aversa nel 1923, è un sopravvissuto. Un uomo che, a 18 anni, ha visto la sua giovinezza spazzata via dalla Seconda Guerra Mondiale, dalla brutalità dei campi di prigionia tedeschi, e dalla lunga ombra dell’ideologia nazifascista. La sua storia, oggi raccontata sul palco del Teatro Ponchielli in occasione del Giorno della Memoria, è più di un racconto personale: è un monito, una testimonianza viva di ciò che l’uomo è capace di infliggere al proprio simile, ma anche di come sia possibile sopravvivere, resistere e persino sperare.

La chiamata alle armi e l’inizio di un calvario

Era il 1° gennaio 1941 quando Antonio, fresco di liceo classico, fu chiamato alle armi. Aveva appena 18 anni e la guerra lo strappò alla sua quotidianità, ai libri, agli amici e alla famiglia numerosa di cui era il settimo di otto figli. Dopo un addestramento a Caserta, fu inviato in Grecia con il 6° Reggimento officina mobile pesante, stanziato nei pressi di Atene. Sembrava un incarico logistico, lontano dal fronte, ma la guerra si rivelò presto molto più vicina e spietata.

L’armistizio dell’8 settembre 1943 segnò una svolta tragica: il caos, lo sfaldamento dell’esercito italiano e l’avanzata dei tedeschi trasformarono i soldati italiani in prede facili. Antonio fu catturato e costretto a intraprendere un viaggio infernale.

Il viaggio verso la prigionia

Per 40 giorni, Antonio e centinaia di altri prigionieri viaggiarono ammassati su carri bestiame. Un viaggio disumano, attraverso il freddo, la pioggia e la neve, senza cibo né acqua. “Fra quelli che viaggiavano su carri scoperti pochi arrivavano in Germania”, ricorda Antonio. Molti morivano lungo il percorso, vittime del freddo, della fame e della disperazione.

Arrivato in Germania, fu internato prima nel campo di prigionia di Meppen, vicino a Stoccarda, e poi trasferito nel campo di lavoro di Neuhausen. Qui, l’inferno prese forma concreta.

La vita nei campi di lavoro

A Meppen, Antonio e gli altri prigionieri furono spogliati di tutto: vestiti, dignità, identità. Vennero rivestiti con abiti di cartapesta e zoccoli di legno, inadatti a proteggere dal gelo dell’inverno tedesco. “Era la metà di ottobre e c’era già la neve. Si moriva di freddo”, racconta. Le baracche erano sovraffollate, con letti a castello di tre piani, ma la notte erano spesso costretti a stare fuori per interminabili appelli.

La fame era costante, il lavoro massacrante. Ogni giorno, la morte era un compagno di viaggio: volti amici che sparivano, corpi senza vita abbandonati nelle fosse comuni.

La fuga e la liberazione

Antonio, però, aveva un sogno ostinato di libertà. Riuscì a fuggire dal campo di lavoro, un’impresa rischiosa che richiedeva coraggio, ingegno e una buona dose di fortuna. Si nascose per mesi, vivendo nell’ombra, fino a quando gli americani liberarono la zona il 28 febbraio 1945.

La fine della guerra lo trovò vivo, ma segnato nel corpo e nello spirito. Tornare a casa fu un’altra battaglia: ritrovare la famiglia, rimettere insieme i pezzi di una vita spezzata, ricominciare.

Una vita dedicata alla memoria

Antonio Gnasso non si è mai fermato. Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana dal 1999, ha fatto della sua esperienza un’occasione per educare le nuove generazioni. Al Teatro Ponchielli, davanti a una platea di studenti, ha ricordato l’importanza della memoria: “È doveroso parlare di queste sofferenze, perché non si possano più ripetere. L’ideologia della guerra non dà nessun esito positivo per nessuno”.

I suoi racconti non sono semplici ricordi, ma lezioni di vita. Attraverso le sue parole, i ragazzi hanno potuto vedere oltre le date e i numeri, cogliendo l’umanità – e l’inumanità – che si nascondono dietro i grandi eventi storici.

Un messaggio per il futuro

Antonio Gnasso è un uomo che ha visto il peggio dell’umanità e ha scelto di trasformare il dolore in testimonianza. Le sue parole non si limitano a ricordare: sono un invito all’azione, alla vigilanza, alla costruzione di un mondo in cui la dignità umana non sia mai più calpestata.

“Oggi, il mio messaggio è per voi giovani”, ha detto con forza. “Siate custodi della pace, della giustizia, della libertà. Non dimenticate mai cosa significa perdere tutto. E non lasciate che l’odio e l’indifferenza abbiano di nuovo il sopravvento”.

Antonio Gnasso non è solo un sopravvissuto: è un faro di speranza, una voce che continua a risuonare, ricordandoci che anche nei momenti più bui, l’umanità può trovare la forza di rialzarsi.