Dazi Usa, lo spettro che scuote l’agroalimentare pontino: il caso Gelfit e la sfida dell’export

LATINA – Non c’è pace per le imprese italiane con vocazione all’export. Dopo le mareggiate della pandemia, i venti impetuosi della crisi energetica e le tempeste geopolitiche, adesso è l’ombra dei dazi americani a scuotere i rami forti dell’economia agroalimentare italiana. E uno degli epicentri di questa nuova scossa è proprio il cuore del Lazio meridionale, la provincia di Latina, dove ortofrutta e trasformazione alimentare sono da anni un orgoglio e una necessità.

Il nodo è chiaro: se da un lato gli Stati Uniti non rappresentano il principale mercato di sbocco per l’export ortofrutticolo del territorio – sono solo al settimo posto, come ci ricorda l’ultimo “Monitor dei poli tecnologici” – dall’altro, per alcune aziende simbolo, il mercato americano è tutto. O quasi.

Il caso Gelfit: quando due terzi del fatturato viaggiano oltre Atlantico

A raccontarlo sul quotidiano “Il Messaggero” è Stefano Mattioli, amministratore delegato di Gelfit, azienda di Cisterna di Latina diventata, nel tempo, una delle colonne portanti dell’agroindustria del territorio. «Due terzi del nostro fatturato arriva dagli Stati Uniti», spiega senza giri di parole. «I nostri prodotti hanno avuto e continuano ad avere un enorme successo oltreoceano, anche perché lavoriamo solo ingredienti di alta qualità made in Italy: dalla mozzarella di bufala ai pomodori del nostro agro».

Il problema? «Con i dazi imposti dagli Usa, alcuni dei nostri clienti americani non sono più disposti ad accollarsi gli extracosti. E questo complica tutto». Una situazione già sperimentata in passato, quando l’amministrazione Trump minacciò di alzare del 25% le tariffe su una vasta gamma di prodotti europei. «Ricordo bene quelle ore. Fu un vero scossone. E oggi il rischio torna ad affacciarsi».

Export in bilico, strategie da ripensare

Non è un caso isolato. In provincia di Latina anche giganti del calibro di Plasmon e Findus, che operano con sedi strategiche in loco, tremano all’idea di un mercato sempre più protetto e meno accessibile. Il problema non è solo il dazio in sé, ma il messaggio che porta con sé: la chiusura. Il rischio concreto che si alzi un muro là dove per anni abbiamo costruito ponti.

La tentazione, per molti, è quella di delocalizzare. «Alcuni stanno valutando di produrre direttamente negli Usa, come ha fatto Barilla per la pasta», spiega Mattioli. «Ma per noi è molto più complicato: produciamo alimenti freschi, con ingredienti delicati, che devono mantenere una qualità altissima. E poi, c’è il problema delle ricette: noi lavoriamo con oltre 25 ingredienti diversi, molti dei quali provenienti dall’Italia».

La Gelfit è appena passata di mano: un fondo d’investimento orientale ne ha acquisito la proprietà. «Stiamo valutando nuovi scenari, ma non sarà facile. Il nostro modello si fonda su qualità e radicamento territoriale. Dobbiamo capire come adattarlo a un mondo che cambia in fretta».

La lezione di Mattioli e il valore del radicamento

C’è una lezione, però, che attraversa tutto il discorso di Mattioli. Ed è quella della tenacia. Il suo percorso personale lo dimostra: da giovane manager sotto l’egida Barilla, è approdato alla guida di un’azienda storica come Gelfit, traghettandola nei mari complessi del mercato globale. Eppure, non ha mai dimenticato l’importanza delle radici. «Siamo nati sotto il segno della mozzarella di bufala, della cultura contadina, della filiera corta. E quello vogliamo continuare a fare, anche se con occhi nuovi».

Intanto, l’azienda sperimenta. Piatti pronti a base di fettuccine Alfredo (una vera ossessione per gli americani), tartufi neri della Tuscia, sughi gourmet. Innovazione e tradizione in un mix che prova a resistere ai colpi dell’economia globale.

Uno sguardo oltre l’oceano: l’agroalimentare pontino alla prova del futuro

Il futuro, tuttavia, resta incerto. I dazi – soprattutto se motivati da guerre commerciali e logiche di protezione interna – rischiano di penalizzare non solo le aziende, ma anche i consumatori americani, che si vedranno costretti a pagare di più per prodotti spesso insostituibili.

In provincia di Latina, dove la qualità dell’ortofrutta è leggendaria e le filiere produttive rappresentano un pilastro dell’economia locale, la speranza è che si trovi un equilibrio. Un punto di contatto tra i mercati, un modo per non vanificare anni di lavoro e investimenti.

Nel frattempo, si guarda anche ad altri orizzonti: Europa, Medio Oriente, Asia. Perché la qualità – quella vera – trova sempre la sua strada. Ma serve visione. E serve sostegno.