“Ti apro la testa come un cocomero”: condannato per stalking l’uomo che l’ha tormentata per due anni

TERRACINA – Non erano mai stati una coppia, non c’era mai stata una storia tra di loro, ma per lui non faceva alcuna differenza. Lei, una professionista di 39 anni, è stata trasformata nell’ossessione di un uomo che, dal 2018 al 2020, l’ha perseguitata senza sosta tra Terracina e Fondi. Messaggi inquietanti, appostamenti sotto casa, telefonate anonime a ogni ora del giorno e della notte, silenzi carichi di tensione. Fino alla frase più esplicita, quella che sembra uscita da un film noir ma che invece è finita nera su bianco tra le carte del processo: «Ti apro la testa come un cocomero».

L’incubo quotidiano

La donna ha vissuto un inferno. Un incubo a occhi aperti, iniziato quasi per caso, quando lui, un uomo di 34 anni, aveva scambiato una semplice amicizia per qualcosa di più. Era geloso del compagno di lei, ossessionato dalla sua vita privata, al punto da monitorarla anche sui social. Non si limitava a guardare: pubblicava post minacciosi, lasciando intuire che era pronto a farle del male. Una persecuzione continua, che le ha provocato un forte stato d’ansia e agitazione, come ha ricostruito il pubblico ministero Martina Taglione durante il processo.

La condanna

La sentenza è arrivata nei giorni scorsi: un anno e sei mesi di reclusione e un risarcimento di 5.000 euro per la vittima, rappresentata dall’avvocato Gian Luca La Penna. D.M.S., 34 anni, è stato ritenuto colpevole del reato di atti persecutori. La difesa, affidata all’avvocato Pietro Iannitti, ha già annunciato che presenterà ricorso in Corte d’Appello non appena saranno depositate le motivazioni della sentenza.

La storia ha dell’incredibile, perché – come è emerso durante il processo – i due non erano mai stati fidanzati. Nessuna relazione, neanche un breve flirt. Solo una conoscenza di vecchia data. Lei non aveva mai dato confidenza all’uomo, mai lasciato intendere qualcosa di più di un’amicizia. Ma per lui era diverso. Era «invaghito», come ha scritto il magistrato nel capo d’imputazione. Un sentimento malato che lo ha portato a superare ogni limite, trasformandosi in persecutore.

Il silenzio che faceva più paura delle parole

Le sue chiamate non erano mai solo chiamate. Bastava quel silenzio prolungato all’altro capo del telefono per trasmettere paura. Un tormento invisibile, difficile da spiegare a chi non lo vive. L’attesa di un passo più lungo, di un gesto più estremo. Poi, gli appostamenti sotto la finestra, come un’ombra sempre presente. «Vivevo con la paura costante di trovarmelo davanti», ha raccontato la donna.

L’incubo è finito? Forse no. Perché anche se la sentenza rappresenta un primo passo verso la giustizia, le ferite lasciate da anni di stalking non si rimarginano in fretta. «È difficile sentirsi al sicuro quando il passato ti ha insegnato che basta poco per ribaltare la tua vita», avrebbe confidato a chi le è stato vicino in questi anni.

Per ora, l’unica certezza è che la storia di questa donna non è solo un fatto di cronaca. È la testimonianza di quanto l’ossessione possa trasformarsi in violenza e di quanto sia importante denunciare, anche quando sembra impossibile fermare l’ombra che ti segue.