Latina / Scandalo Karibu: tra fondi spariti, spese folli e investimenti sospetti

LATINA – Dalle borse firmate di Ferragamo alle cene in ristoranti di lusso, fino a un macchinario per la lavorazione dei pomodori in Ruanda. È un mosaico di sprechi e operazioni sospette quello che emerge dall’ultima udienza del processo Karibu, tenutasi questa mattina al Tribunale di Latina. Una vicenda che ormai da tempo si muove su due binari paralleli: da un lato l’inchiesta sull’evasione fiscale e la bancarotta, dall’altro quella sul riciclaggio e la frode in pubbliche forniture.

Durante l’udienza, la testimonianza di un investigatore della Guardia di Finanza ha tracciato un quadro dettagliato sulle movimentazioni di denaro e sulle spese personali che avrebbero deviato fondi destinati all’accoglienza dei migranti verso scopi ben lontani dalla loro finalità originaria.

Dalla Coop al Ruanda: quando l’accoglienza diventa affare internazionale

L’investigatore ha ripercorso le tappe delle indagini, spiegando come tutto sia iniziato con l’analisi delle società collegate alla cooperativa Karibu. Da lì, le verifiche sui movimenti di denaro hanno portato alla luce operazioni finanziarie quantomeno singolari, come l’acquisto di un macchinario per la lavorazione dei pomodori in Ruanda per 48mila euro. Nulla di illegale di per sé, ma del tutto fuori luogo per una cooperativa che si occupa di assistenza ai migranti e ai richiedenti asilo.

Poi c’è la questione dell’immobile in Belgio, acquistato con un preliminare di 32mila euro da Liliane Murekatete, moglie del deputato Aboubakar Soumahoro. “Anche se non vi era traccia ufficiale, riteniamo che Karibu abbia avuto una sede in Belgio”, ha dichiarato il finanziere.

A complicare ulteriormente il quadro c’è Jumbo Africa, una società che secondo l’accusa sarebbe stata utilizzata per dirottare fondi all’estero. “Era uno strumento per trasferire denaro fuori dai confini italiani”, ha precisato il testimone, aggiungendo che le somme di denaro venivano spesso movimentate tramite bonifici, alcuni dei quali verso conti esteri, e tramite carte prepagate utilizzate per spese personali.

Spese pazze e bonifici sospetti

Le spese personali emerse durante le indagini non sono passate inosservate: cene da 500 euro per quattro persone in un ristorante di Latina, pernottamenti in hotel di lusso, borse firmate dal valore di 1.500 euro. Piccole gocce in un mare di spese che, se sommate, mostrano un evidente scollamento rispetto alla missione della cooperativa, che avrebbe dovuto garantire assistenza a chi è in fuga dalla miseria e dalla guerra.

Non solo. L’accusa ha tracciato un flusso di denaro apparentemente incoerente con le finalità sociali di Karibu, sottolineando come molti fondi sarebbero stati utilizzati per fini personali o dirottati verso attività commerciali non pertinenti.

Il ruolo delle difese e le strategie processuali

Oggi il Collegio penale, presieduto dal giudice Mario La Rosa, ha accolto alcune istanze delle difese, revocando gli obblighi di firma per Marie Therese Mukamitsindo, Michael Rukundo e Liliane Murekatete, segnando un primo punto a favore degli imputati. Gli avvocati Francesca Roccato e Lorenzo Borrè stanno cercando di scardinare le accuse, puntando a dimostrare l’assenza di un disegno criminoso e la legittimità delle operazioni contestate.

Il processo è stato rinviato al prossimo 5 giugno, quando la deposizione del finanziere proseguirà con il controesame della difesa. Sarà un passaggio cruciale: i legali degli imputati cercheranno di demolire l’impianto accusatorio, contestando l’interpretazione dei flussi finanziari e delle spese personali.

Una giustizia sospesa tra ombre e verità

Intanto, le ombre sul caso Karibu si allungano. Al centro di tutto restano quei fondi pubblici, erogati per garantire un’accoglienza dignitosa ai migranti, ma che secondo l’accusa avrebbero preso strade diverse, tra gioiellerie e immobili oltre confine.

C’è poi un altro filone d’inchiesta, quello delle presunte firme false sui verbali delle assemblee della cooperativa, in cui Liliane Murekatete si trova a essere parte offesa. La Procura aveva chiesto l’archiviazione, ma lei ha impugnato la decisione, chiedendo che i verbali originali vengano acquisiti e che si proceda con una perizia grafica.